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venerdì 24 dicembre 2010

Tsar Tank



Lo Tsar Tank, noto anche come Lebedenko Tank in onore ad uno dei suoi progettisti, Nikolai Lebedenko, era un gigantesco veicolo non convenzionale studiato in Russia nei primi anni della Grande Guerra. L'idea alla base del progetto era quella di realizzare un mezzo capace di superare agilmente i profondi fossati e le fitte trincee che tanto caratterizzavano i campi di battaglia del periodo e, per tale scopo, si pensò che l'introduzione di una coppia di ruote motrici anteriori dalle grandi dimensioni avrebbe consentito al veicolo di oltrepassare gli ostacoli che man mano si presentavano sul suo cammino. Tali ruote, che nel prototipo raggiunsero lo straordinario diametro di 9 m ciascuna, dovevano essere dotate ognuna di un proprio motore e nel complesso avrebbero trainato un'alta piattaforma di tiro ed un'ulteriore unità mobile posteriore, che doveva nelle intenzioni consentire il movimento direzionale. Partendo da tali ipotesi progettuali, i progettisti russi realizzarono un immenso triciclo con "ruotino" posteriore, il quale aveva a sua volta un diametro di 1.5 m, sul cui telaio venne installata una torretta girevole ed il complesso dell'armamento. Il concetto della macchina nacque ufficialmente nel 1914, quando Lebedenko con l'assistenza di Nikolai Zhukovsky, Boris Stechkin ed Alexander Mikulin, stese i disegni di base del veicolo, realizzando un simulacro in scala in legno e chiamando la macchina Nepotir. Il modellino, dalle simensioni di un gioccattolo e spinto da un motorino di un grammofono, venne pertanto presentato allo Zar Nicola II, il quale rimase altamente impressionato dalle sue capacità motorie e dall'agilità con la quale il piccolo veicolo aveva superato gli ostacoli che erano stati posti a scopi illustrativi lungo il suo percorso. Con i favori e soprattutto con i finanziamenti dello Zar, Lebedenko potè avviare i lavori di costruzione del primo prototipo del carro, che nel frattempo era stato chiamato Tsar Tank. La realizzazione della macchina si rivelò più veloce del previsto, tanto che già nell'estate del 1915 il gigante era già pronto, e proponeva soluzioni particolarmente interessanti: data la mole, infatti, il team di progettisti aveva brillantemente pensato di creare un veicolo dal facile montaggio che avrebbe consentito il trasporto ferroviario dei singoli pezzi, i quali erano stati realizzati da ditte sussidiarie, fino al luogo desiderato e si sarebbe pensato in un secondo momento il loro assemblaggio: in pratica il veicolo doveva arrivare al fronte smontato e sarebbe stato rimesso in piedi direttamente a ridosso delle trincee. I lavori procedettero piuttosto velocemente e nel luglio 1915 le componenti del gigante vennero trasferite in un terreno appositamente scelto a circa 60 km da Mosca ed ivi si procedette alla loro unione. Nonostante il buon esito del trasporto, gravi problemi sorsero una volta ultimata la fase di riassemblaggio: a causa di un'errata progettazione e probabilmente anche per via dell'insufficiente coordinamento dell'attività delle varie imprese interessate, il peso complessivo risultò parecchio superiore rispetto a quanto preventivato e tale imprevisto finì col condizionare le stesse prestazioni e capacità mobili del veicolo, cui era stata ottimisticamente attribuita la capacità di raggiungere i 17 km/h, velocità piuttosto elevata per l'epoca. Nonostante la sgradita sorpresa, comunque, i primi test si rivelarono positivi, in quanto lo Tsar riuscì a superare senza troppe difficoltà tutti gli ostacoli e mise in mostra capacità incoraggianti e promettenti. Il dramma, però, accadde quando durante una manovra il carro finì sopra una superficie molle e fangosa: in tale terreno, infatti, il peso e la sua errata distribuzione, che troppo si concentrava sul posteriore, fecero sprofondare il ruotino di coda, col risultato di paralizzare l'intero veicolo. In aggiunta a tale incidente, ci si rese conto che i due motori adottati, un Maybach da 240 hp per ciascuna ruota motrice, non riuscivano a sprigionare un'adeguata potenza e la macchina, troppo pesante per ipotizzarne un traino forzato, dovette essere temporaneamente abbandonata direttamente sul luogo. Per ovviare alle difficoltà, Lebedenko e gli altri progettisti si misero al lavoro per bilanciare meglio la distribuzione dei pesi e per rimotorizzare il carro con propulsori di maggiore potenza: nonostante gli sforzi, però, l'esercito bloccò autoritativamente ogni sviluppo ed ulteriore studio sulla macchina, giustificando la propria decisione con la convinzione, peraltro parecchio genuina, che le ruote dello Tsar sarebbero state troppo esposte ad un probabile fuoco nemico d'artiglieria, anche se la vera ragione dell'imposizione era l'esorbitante costo della macchina e della sua ipotetica fabbricazione. Il progetto venne pertanto arrestato ed il prototipo fu lasciato dove rimase incagliato nel più totale abbandono fino al 1923, quando finalmente si procedette al suo recupero per la definitiva demolizione.

martedì 2 novembre 2010

Vickers Mk VII Tetrarch




Realizzato nel 1937, il Vickers Mk VII Tetrarch, in principio battezzato Purdah, fu il frutto di una iniziativa privata portata avanti autonomamente dalla casa britannica nel tentativo di realizzare un veicolo leggero costruito su una nuova tipologia di sospensioni, costituite da quattro ruote portanti per fiancata. Inizialmente, comunque, il veicolo non ottenne alcun interesse da parte delle autorità, che si limitarono a guardare i risultati dei primi collaudi, iniziati nel 1938. Durante i test, però, il veicolo presentò delle buone caratteristiche complessive, non particolarmente esaltanti ma lo stesso accettabili e finì con l'attirare qualche attenzione da parte dei militari. Nonostante i tentennamenti per una macchina leggera, con la guerra ormai inevitabilmente alle porte ci si rese conto che l'esercito britannico si trovava in una situazione di grave deficit nel campo dei mezzi corazzati da combattimento: dato che bisognava adoperarsi per dotare le forze armate di nuovi veicoli, le autorità dovettero sorvolare le perplessità e presero contatto con la Vickers per l'avvio della produzione in serie del Mark VII. Ben presto, però, i comandanti inglesi si convinsero definitivamente che l'impiego di carri armati leggeri in combattimento sarebbe stato privo di qualsiasi utilità pratica: entro la fine del 1940, infatti, la volontà di produrre il Tetrarch venne sensibilmente ridimensionata e si decise di impiegare i pochi esemplari costruiti, in totale 177, in azioni di avanscoperta e ricognizione, ruoli per i quali erano peraltro già disponibili altri veicoli. Ritenuto opeartivamente inutile, il Mark VII venne impiegato solo per missioni secondarie in teatri meno impegnativi, come l'invasione britannica del Madagascar del 1942. Svolta nella carriera del veicolo si ebbe con il potenziamento delle unità aviotrasportate: grazie al peso contenuto, il piccolo carro Vickers venne rispolverato dal comando britannico e fu inquadrato nei reparti di assalto e trasporto aereo, grazie anche all'arrivo del nuovo aliante Hamilcar prodotto dalla General Aircraft. Nelle nuove vesti di veicolo aviotrasportato, il Tetrarch venne impiegato in pochi esemplari nelle concitate fasi dello sbarco in Normandia del 1944, per la cui occasione 8 carri vennero utilizzati in un'azione di assalto aereo lungo le rive del fiume Orne. Sebbene l'esiguo numero di veicoli schierati, l'apporto del carro leggero Vickers si rivelò molto utile e valido. Dopo l'episodio, infine, i Tetrarch superstiti vennero impiegati per il complicato attraversamento del Reno. Nonostante i buoni risultati conseguiti sul campo di battaglia, la carriera del Mark VII rimase lo stesso parecchio blanda e limitata: data la disponibilità di altri veicoli leggeri aviotrasportabili, soprattutto statunitensi, la produzione del mezzo Vickers non venne ripristinata ed i pochi veicoli sopravvissuti furono mantenuti in servizio senza uno scopo particolare fino a quando non furono radiati gli Hamilcar, ovvero fino agli anni Cinquanta. La vita dell'Mk VII conobbe, infine, una breve parentesi in Unione Sovietica, dove alcuni carri furono inviati nel contesto di aiuti e forniture militari all'Armata Rossa: sembra che il veicolo abbia favorevolmente impressionato gli ufficiali sovietici, soprattutto per via della sua agilità ed affidabilità, ma a causa del basso numero di mezzi consegnati e problemi con il sistema di raffreddamento i veicoli finirono con l'essere assegnati a compiti di addestramento. Va ricordato, in ultima analisi, come la Vickers studiò nel corso del conflitto una serie di possibili evoluzioni del proprio veicolo, specialmente nell'ottica di una progressiva specializzazione per l'assalto aereo, come il carro leggero Mark VIII Harry Hopkins, di cui si parlerà in apposito post, ed un ipotetico cacciacarri, rimasto però solo allo stadio di progetto.


lunedì 27 settembre 2010

Ansaldo P.40



Durante la seconda guerra mondiale, fra le altre cose di cui mancava l'Italia, particolarmente deficitaria e drammatica era la situazione delle dotazioni militari nel campo dei veicoli e mezzi corazzati. Pur non eccellendo in nessuna categoria di carro armato, sia quella delle macchine considerate leggere sia per quelle medie, era la speciaità dei carri pesanti che mostrava più impietosamente tutta l'obsoloscenza dell'industria nazionale e della capacità progettuale del settore. L'assenza di un carro pesante fu una problematica delle forze armate italiane fin dai tempi della prima guerra mondiale, soprattutto a causa di una chiara e decisa mancanza politica: nonostante il pregevole ed incoraggiante progetto portato avanti dalla Fiat, con il suo Fiat 2000 del 1919, le autorità non intrapresero mai dei progetti seri e soprattutto univoci per dotare il proprio apparato militare di un veicolo rientrante nella classificazione dei "pesanti". Negli anni Venti e Trenta, infatti, l'intera produzione italiana di carri armati si concentrò, senza nemmeno raggiungere risultati particolarmente esaltanti, su mezzi di tonnellaggio medio e leggero, senza mai affrontare con efficacia la realizzazione di carri armati pesanti. Si arrivò pertanto al 1939 senza che le forze armate nazionali disponessero di un adeguato carro armato da combattimento capace di superare le 20 tonnellate, parecchio sotto gli standard che si andavano affermando negli altri paesi europei. Con lo scoppio della guerra, però, il governo si mosse, anche se timidamente, contattando le industrie del paese per la realizzazione di un veicolo dal peso di circa 30 tonnellate. Nonostante l'iniziale iniziativa, ben presto le autorità imposero alle ditte delle pesanti limitazioni di peso, riducendo il numero delle tonnellate massimo da 30 a 24. Gli studi di un fantomatico carro "P", dove la P stava appunto per "Pesante", furono condotti in un primo momento sia dalla Fiat che dall'Ansaldo, ma alla fine fu la sola casa milanese a portare avanti il progetto, sfruttando per l'occasione la collaborazione con la Germania, dove furono mandati a scopi didattici svariati ingengeri con il fine di raccoglie quante più informazioni possibili nella costruzione e progettazione di un carro pesante. In aiuto all'Ansaldo, arrivò il lavoro del Centro Studi Motorizzazione (C.S.M.), il quale autonomamente si mise all'opera per la definizione di un mezzo da 30 tonnellate che si caratterizzava per l'adozione di due torrette, una in caccia e l'altra in ritirata, e che is ispirava al Neubaufahrzeug tedesco. Alla fine il disegno del C.S.M., denominato in questa fase P.75, per via del pezzo montato in torretta, venne affidato all'Ansaldo, la quale sottopose il progetto ad un'attenta revisione sulla scorta delle indicazioni ottenute con il viaggio di istruzione dei propri tecnici in Germania: venne rimosso l'intero armamento in ritirata, mentre leggere modifiche di diesgno furono applicate alla torretta girevole. I lavori proseguirono e nel 1940 fu ultimato un simulacro in legno a grandezza naturale del veicolo: nonostante le esigenze suggerissero di avviare il più velocemente possibile la produzione in serie del veicolo, che era stato rinominato per ordine di Mussolini P.40, in quanto realizzato nel 1940, il programma venne drasticamente ritardato dalle continue ingerenze del governo e dai continui cambiamente dispositivi. Cercando, infatti, di operare una scelta economica, provvenì dall'alto l'ordine di sostituire il cannone da 75 mm con un pezzo più piccolo da 47 mm, dato che di questo armamento si calcolava una maggiore disponibilità di munizioni. Nonostante le imposizioni, l'ebbe vinta l'Ansaldo e nel 1941 il primo prototipo del P.40 veniva ufficialmente presentato, con un cannone da 75 mm in torretta. Il programma venne poi ulteriormente perfezionato nel 1942, quando per concessione tedesca fu possibile esaminare un esemplare delle prime serie costruttive del sovietico T-34: in seguito all'analisi di tale veicolo, gli ingegneri Ansaldo procedettero a riprogettare ampiamente lo scafo del prototipo e la torretta offensiva, mentre altri dettagli più marginali vennero applicati quasi dappertutto, come l'installazione dei parafanghi prima totalmente assenti. Con l'evolversi sfavorevole delle ostilità, le autorità non ci pensarono molto ad approvare il progetto ed ancora prima della sua ufficializzazione furono ordinati all'Ansaldo ben 500 carri armati, con una produzione mensile da aggirarsi attorno ai 50 mezzi realizzati. Il 25 novembre 1942 il P.40 entrava uffiialmente in servizio presso le forze armate, benchè si trattasse ormai di un carro già superato ed inferiore rispetto alla produzione straniera contemporanea, ma si trattava, per stessa ammissione del ministero, di quanto di meglio si potesse ottenere, anche se continue migliorie e suggerimenti verranno successivamente proposti ed in parte concretizzati. A dire la verità, le dichiarazioni espresse nelle circolari avevano ben poco contatto con la realtà: sotto continui bombardamenti ed ostacolata da rallentamenti di ogni genere, la linea di produzione del mezzo procedette a ritmi troppo lenti e soltanto nel 1943 inoltrato si potè seriamente prendere in considerazione l'idea di schierare al fronte il nuovo mezzo, che avrebbe dovuto secondo i piani essere dislocato già in Tunisia, ma che in realtà non varcherà mai i confini nazionali. Le linee di montaggio procedettero così lentamente, soprattutto per la mancanza di materiali, che soltanto nella tarda estate del '43 poterono essere formati i primi due battaglioni, i quali non erano per il momento ancora operativi. Con l'armistizio del settembre 1943, il programma del P.40 fu messo sotto controllo tedesco: nonostante le difficoltà, la produzione del P.40 fu autorizzata e venne confermata parte degli ordinativi siglati in precedenza, per un totale di 150 esemplari. La situazione, però, risultava particolarmente caotica e fra discussioni ed ipotesi, la produzione del mezzo rimase praticamente ferma per qualche tempo: indecisi sull'uso da riservare al carro italiano, ormai considerato di preda bellica, i comandi tedeschi si interrogarono a più riprese sulla possibilità di installare sul veicolo un motore Maybach HL 200, in luogo del Diesel da 330 hp adottato in precenza dai tecnici italiani. Tale dubbio nacque essenzialemnte dal fatto che le consegne delle unità motrici procedevano a ritmi ancora più lenti di quelle dell carro ed almeno 75 unità erano state approntate prive di motore. Alla fine tali ipotesi si conclusero in un nulla di fatto e si procedette ad inquadrare i veicoli prodotti in grado di muoversi, le stime parlano di 40 carri, nei reparti di polizia, mentre i mezzi senza propulsore furono interrati ed utilizzati come fortini lungo le difese della penisola. Nelle ultime battute di guerra, la vita operativa del P.40 fu contraddistinta da veloci ritirate ed abbandoni: svariati esemplari furono portati, pare con equipaggio italiano, in Austria, dove furono abbandonati; altri carri finirono deportati in Germania, dove se ne persero le tracce. Dopo la breve esperienza bellica, dove il mezzo conobbe come visto un limitatissimo impiego bellico, un esemplare di P.40 fu ritrovato in buone condizioni, tanto che venne dislocato a Caserta nel 1950 per compiti scolastici ed addestrativi. Dopo qualche tempo, però, l'apparecchio venne abbandonato alle intemperie, sempre nella città campana, fino ai tardi anni Ottanta, quando, sotto la spinta di personaggi illustri come Nicola Pignato, venne recuperato e riparato. L'opera di restauro venne svolta dalla Fiat, mediante l'impiego di mezzi e personali dell'officina della scuola della casa torinese, e, fra le altre cose, si operò una sostituzione del motore, dato che quello originale pareva irrimediabilmente compromesso, con un IVECO da 190 hp di potenza. Terminata la preziosa opera di recupero, il veicolo venne impiegato ancora per scopi comparatistici, dando tutto sommato delle buone prove di mobilità. Attualmente tale veicolo è conservato in ottimo stato a Lecce. In ultima anlisi, un esemplare di P.40, privo di motore, è conservato oggi a Roma, presso il Museo Storico della Motorizzazione Militare.


mercoledì 28 luglio 2010

Panzerkampfwagen VIII Maus



Nel 1942, su commissione dello stesso Hitler, Ferdinand Porsche si mise al lavoro per studiare un nuovo tipo di carro armato ultrapesante virtualmente indistruttibile e capace di affrontare con successo ogni veicolo corazzato nemico allora in circolazione. Il nuovo mezzo, che doveva essere per ordine del Fuhrer pesante sulle 120 tonnellate, era inevitabilmente un veicolo imponente, dalle grandi dimensioni, caratterizzato da una spessa corazzatura ed un pesante armento offensivo. Il programma, avviato appunto nel 1942, venne affidanto in cooperazione con Porsche anche alla Krupp, che doveva occuparsi di progettare e sviluppare alcune componenti della struttura e della torretta, compreso l'armamento, che secondo le richieste iniziali doveva comporsi da un pezzo di grosso calibro da 150 mm ed un secondo cannoncino da 20 mm di supporto. Il progetto acquisì in un primo momento una certa priorità, tanto che se ne ipotizzò la messa in produzione già a partire dalla primavera del 1943. Vista la volontà di creare un supercarro, lo stesso Porsche volle occuparsi dell'armamento del futuro Maus, che all'inizio prese la designazione di Mammut, migliorandone le capacità offensive con la sostituzione del pezzo da 20 mm con un più grande cannone da 105 mm: per via dell'introduzione del nuovo miglioramento i tempi si dilatarono leggermente, ma si ritenne verosimile indicare come l'estate del 1943 il momento di avvio della produzione, che secondo le ottimistiche stime del personale doveva aggirarsi intorno ai 5 esemplari mensili. Vista l'importanza attribuita al veicolo, che nel 1943 prese la denominazione ufficiale e definitiva di Maus, che ironicamente significa "Topo" in lingua tedesca, i progetti proseguirono a buon ritmo e nel 1943 venne presentato il modello in legno a grandezza naturale del futuro carro armato: si trattava di un gigante dal peso di ben 188 tonnellate con i cingoli dall'impressionante larghezza di 1 metro ciascuno e Hitler ne commissionò 150 esemplari da mettere immediatamente in costruzione. Sebbene il disegno ed il modello in legno avessero attratto in un primo momento l'attenzione del Furher, il programma venne accantonato e nel novembre del '43 l'iniziale ordinativo di 150 unità fu cancellato: a quel punto, però, il primo prototipo era quasi pronto, mentre un altro si trovava in avanzato stadio di montaggio, e si decise di portare comunque a termine un breve ciclo di test e collaudi sulla macchina, che era stata assemblata senza armamento e con un modello zavorrato e fisso di torretta. Durante queste prove, come era del resto prevedibile, furono riscontrati seri problemi di mobilità e di meccanica: il peso enorme del mezzo rendeva difficile l'attraversamento di qualunque tipologia di terreno e provocava problemi alle sospensioni e di trazione; sempre a causa della mole, il Maus non poteva procedere sopra i ponti sui fiumi, che non erano in grado di reggerne il peso, e dovette essere arrangiato per l'attraversamento in immersione tramite un sistema di collegamento con la superficie per la cattura dell'aria necessaria al suo funzionamento. Desolante era poi la situazione delle performance: in condizioni ideali, il Panzer VIII Maus non riusciva a superare i 13 km/h, velocità veramente troppo bassa per un mezzo da impiegare in battaglia. Dopo queste prove iniziali, che misero in mostra anche le difficoltà di recupero di un veicolo di quel peso per via di un impantanamento che costò innumerevoli fatiche ai tecnici, venne conclusa la costruzione del secondo prototipo, differente dal primo per tutta una serie di dettagli relativamente marginali e per l'installazione completa della torretta con armamento e munizionamento. I lavori di sviluppo sul veicolo, nonostante i miglioramenti che ci si aspettava e che si stavano positivamente applicando, vennero sospesi definitivamente per ordine delle autorità militari nell'agosto 1944, tanto che il primo prototipo rimarrà fino alla fine della guerra privo di torretta ed armamento, e non si potè fare altro che ultimare i collaudi con i due prototipi realizzati. Apprezzabili furono i risultati ottenuti dal Maus V2 in ambito di mobilità, di potenza e trazione: nel secondo prototipo, infatti, venne installato al posto del precedente motore Daimler-Benz MB 509 il più potente Daimler-Benz MB 517, che era supportato da un sistema elettrico d'avanguardia di trasmissione che consentiva delle positive prestazioni di controllo della direzione. Grazie a queste modifiche, il Maus riuscì a raggiungere i 20 km/h di velocità e migliorarono le sue doti di agilità e mobilità: si trattava sempre di coefficenti molto bassi, ma era comunque un miglioramento rispetto ai dati emersi dai collaudi sul primo prototipo. I due modelli vennero inviati nel corso del 1944 al poligono di tiro di Kummersdorf, dove furono sorpresi dalla travolgente avanzata delle truppe sovietiche. Secondo alcune fonti, peraltro non ufficialmente confermate, il Maus V2 fece in tempo anche a vedere il combattimento contro un reparto di mezzi corazzati sovietici nel tentativo di difendere il poligono di esercitazione: nonostante queste voci, i sovietici dopo aver conquistato la regione, trovarono i resti dei due prototipi del Maus gravemente danneggiati, forse sabotati dagli stessi equipaggi o forse rimasti colpiti durante gli scontri. Al termine della guerra, i russi riuscirono a mettere in piedi un modello di Maus unendo le parti utili dei prototipi trovati e lo testarono per breve tempo a Kubinka, vicino a Mosca, dove tuttora è conservato in ottimo stato.



venerdì 25 giugno 2010

M2/M3 Bradley



La nascita dell'M2 Bradley risale agli anni Settanta, quando si avvertì la necessità in capo all'esercito degli Stati Uniti di un nuovo veicolo da trasporto truppe ed appoggio alla fanteria con cui rimpiazzare l'M113. Si richiedeva pertanto un mezzo capace sia di effettuare missioni di trasporto di unità operative, sia di svolgere attacchi contro obiettivi mobili corazzati nemici. Fra le varie richieste, particolarmente importante era la capacità del nuovo veicolo di supportare anche le avanzate degli MBT Abrams, dato che i mezzi allora disponibili non riuscivano a stare dietro a tali carri armati. Alle doti di resistenza, quindi si aggiunse anche la richiesta di un'alta mobilità e velocità su ogni tipologia di percorso. Nonostante l'importanza che l'esecito riponeva in tale nuovo veicolo, gli studi e la messa a punto del futuro Bradly ri rivelarono piuttosto lenti e laboriosi, tanto da far nascere numerose incertezze negli alti comandi statunitensi circa l'effettiva operatività di tale mezzo. Sebbe circondato da critiche, il progetto andò avanti e nel 1981 i primi esemplari del mezzo iniziarono ad equipaggiare le unità operative. Nel complesso il veicolo si è rivelato particolarmente dotato e venne subito apprezzato sia dagli equipaggi che dagli ufficiali: capace di grande mobilità con un buona potenza di fuoco, il Bradley venne sviluppato in due versioni, la M2 per il trasporto truppe e la M3 per la cavalleria con funzioni di ricognizione ed esplorazione, e fino ad oggi ha totalizzato ben 6.724 veicoli costruiti. Nel complesso la macchina si è rivelata soddisfacente, ma non esente da pesanti critiche mosse da più parti all'interno delle forze armate statunitensi. Una delle perplessità maggiormente evidenziate, consiste nel grande carico di munizioni e materiale esplosivo che il veicolo trasporta: dovendo forinre supporto logistico anche a carri armati pesanti, il Bradley è stato studiato come porta munizioni, la qual cosa lo rende in teoria una sorta di mina vagante ritenuta troppo vulnerabile al fuoco nemico. Pur essendo visto con scetticismo, il veicolo si è rivelato un validissimo mezzo di appoggio tattico ed da combattimento diretto: nella prima guerra del Golfo, infatti, il Bradley ha distrutto in combattimento un numero di carri armati nemici superiore rispetto a quello vantato dagli Abrams, a fronte di una ventina di unità perdute in combattimento, principalmente a causa del fuoco amico. Rivelatosi nel complesso una buona macchina, il Bradley è stato ulteriormente aggiornato nel corso del tempo, con la realizzazione di successive versioni differenti fra loro prevalentemente per via dell'armamento e della tipologia di corazza adottati, come per esempio l'installazione di un lanciamissili TOW. Allo stato attuale, il Bradley è in servizio presso l'esercito degli Stati Uniti e in svariate unità anche nelle fila delle forze armate dell'Arabia Saudita ed è presumibile che rimarrà in prima linea ancora per molto tempo.


venerdì 18 giugno 2010

AMD 35 Panhard 178



La Panhard 178, il cui nome ufficiale era però AMD 35, fu un'autoblinda dalle eccellenti prestazioni realizzata intorno alla metà degli anni Trenta. Il suo progetto risale di fatto al 1933, quando la Panhard presentò i disegni di massima in risposta ad una specificia ministeriale del 1931 per un'autoblindo a lunga autonomia destinata ai reparti di ricognizione della cavalleria. Una delle richieste principali era la capacità di operare senza troppi problemi nel difficile terreno dell'Africa settentrionale francese: si doveva pertanto realizzare un veicolo capace di superare agilmente le difficili condizioni dei territori algerini e marocchini, ricchi di avvallamenti montuosi e dalla difficile percorrenza. Dovendo prendere parte ad operazioni in tali teatri, i tecnici Panhard optarono per una trazione a quattro ruote motrici, con motore posteriore, e scelsero delle gomme ad ampio diametro per poter superare i continui saliscendi del territorio. Dalle linee moderne e ben studiate, l'AMD 35 si rivelò un eccellente veicolo fin dai primi collaudi, ed entro il 1936 se ne era avviata la produzione in serie, che continuò fino alla seconda guerra mondiale. Si calcola che dal momento dell'avvio delle linee di montaggio alla sconfitta francese del 1940, circa 1000 autovetture uscirono dagli stabilimenti Panhard, con svariati esemplari ancora in fase di costruzione. Il mezzo era un veicolo decisamente moderno per il periodo: dotato di trazione integrale ed armato con un armamento piuttosto pesante per la categoria, un cannone automatico da 25 mm Hotchkiss ed una mitragliatrice coassiale da 7.5 mm, installato in una torretta girevole il veicolo presentava soluzioni tecnologicamente piuttosto avanzate per essere un'autoblindo del 1935. Altro pregio del mezzo erano le sue linee ben studiate ed accurate, che formavano tratti spigolosi e sfuggenti, capaci di assorbire bene i colpi nemici a discapito del generalmente basso spessore di corazzatura. Da un punto di vista operativo, il veicolo venne costruito in ingenti quantità, ma venne impiegato in modo relativamente erroneo: come al solito, anche in questo caso i mezzi francesi realizzati, invece di costituire unità uniche ed autonome, vennero sparpagliati un pò in tutto il confine, finendo col diventare dei mezzi unici nel proprio reparto senza possibilità di sostituzione. In effetti, durante le fasi della campagna di Francia, uno dei primi problemi dell'impiego della Panhard, fu proprio quello della mancanza di rimpiazzi: molti veicoli danneggiati, infatti, non potevano essere sostituiti in tempo, in quanto le altre vetture erano tutte impegnate altrove e non c'erano elementi di riserva, finendo spesso con l'essere abbandonate in mani tedesche. Nonostante l'apporto piuttosto basso che il mezzo diede alle truppe francesi, indubbie restavano le sue qualità complessive: agilità e velocità in primo luogo. Dopo la caduta della Francia, gran parte delle AMD 35 rimaste vennero incorporate nei reparti tedeschi, che ne apprezzarono molto le doti. Nelle vesti germaniche, la Panhard 178 venne impiegata inizialmente come veicolo per la sicurezza ed il pattugliamento dei territori francesi occupati; successivamente svariati esemplari furono inviati in Russia al seguito delle unità di polizia con compiti di ricognizione e lotta antipartigiana. Al fine di controllo e difesa delle linee ferroviarie, alcuni esemplari di Panhard 178 vennero adattati all'uso ferroviario, con la sostituzione delle gomme con ruote da rotaie. Nonostante il mezzo risalisse al 1935, e quindi fosse in linea di massima superato da apparecchi più moderni, l'AMD 35 venne costruita anche dopo la seconda guerra mondiale: ripresa la costruzione in Francia dopo la liberazione di Parigi del 1944, infatti, le linee di montaggio andarono avanti fino agli anni Cinquanta, introducendo una nuova torretta ed un nuovo armamento, che andarono a configurare la Panhard 178B. La vita operativa del veicolo continuò fino ai primi anni Sessanta, quando gli ultimi esemplari rimasti in servizio nel sud est asiatico vennero ritirati definitivamente dal servizio.


martedì 1 giugno 2010

Sturmpanzer A7V



Subito dopo l'apparizione dei primi carri armati britannici sul fronte occidentale, in Germania venne creata una commissione composta da militari, tecnici ed esperti delle principali industrie nazionali incaricata di delineare le caratteristiche di un veicolo cingolato da combattimento con cui contrastare efficacemente i corazzati alleati. Secondo le autorità, per colmare il pesante deficit con gli avversari, era necessario progettare e costruire nel più breve tempo possibile un mezzo sulla trentina di tonnellate di peso, capace di superare le trincee nemiche e di raggiungere una velocità di 10 - 12 km/h. Causa mancanza di tempo e per via delle eccessive richieste da parte delle autorità militari, il veicolo studiato dalla commissione, che prese il nome di A7V, risultò piuttosto scadente e dovette pertanto essere rivisto varie volte, finendo col rallentarne notevolmente lo sviluppo e la messa a punto. Per buona parte del 1917, infatti, l'A7V fu al centro di estese modifiche strutturali e progettuali, che variavano dalla riduzione dello spessore della corazza alla soppressione del cannone in ritirata previsto in fase di progettazione. Nonostante le difficoltà tecniche e le carenze di mobilità e maneggevolezza, il progetto venne approvato con la massima rapidità e nell'estate del 1917 furono consegnati i primi esemplari di preserie per dare il via ad un primo ciclo di collaudi e valutazioni operative. L'A7V, soprannominato "Mostro" dagli equipaggi tedeschi, era sostanzialmente un cassone dalla forma grosso modo rettangolare, appoggiato su grossi cingoli derivati dai trattori agricoli Holt, con, sulla zona centrale del dorso, una cupola removibile dove sedevano il capocarro ed il pilota. Le dimensioni, come si può intuire, erano particolarmente grandi, fattore che, unito a cingoli non avvolgenti e particolarmente bassi, ne riduceva enormemente la mobilità e, soprattutto, impediva al mezzo di superare le trincee nemiche. L'armamento principale era costituito da un pezzo a brandeggio limitato da 57 mm in caccia (si trattava di un cannone belga che le forze tedesche avevano catturato in limitate quantità durante le prime fasi della guerra), mentre tutto intorno alla struttura di snodava una cintura composta da sei mitragliatrici Maxim da 7 mm (due sul fianco sinistro, due sul fianco destro e due in ritirata). Tale soluzione, unita alla forma stesso del veicolo, fece guadagnare all'A7V il soprannome, datogli dalle truppe britanniche, di "Fortezza mobile" e in effetti una delle sue caratteristiche era proprio la solidità. Sebbene non avesse destato particolari impressioni al momento della sua presentazione ufficiale, nemmeno il Kaiser parve essere impressionato, ci si rese conto che la situazione era difficile e che ci si doveva accontentare: subito, infatti, ne venne avviata la produzione, che, stando alla commissione, avrebbe dovuto fornire 100 carri armati entro la fine del 1918, ed entro marzo del '18 i primi esemplari venivano schierati direttamente sul fronte. Si trattava di un gruppo esiguo di veicoli, circa cinque, che venne schierato a nord di San Quentin, che ebbe effetti più sul morale dei soldati che sull'andamento del conflitto: infatti 3 veicoli rimasero quasi subito fermi per via di avarie mecchaniche e finirono con l'essere impiegati come fortini, che comunque furono capaci di respingere un timido attacco inglese portato avanti con acluni Tanks. Vero battesimo del fuoco, e primo scontro carro contro carro della storia, si ebbe nel nell'aprile del 1918, quando tre A7V incontrarono tre Mark IV inglesi, due Female ed un Male, con un sostanziale pareggio, ma tendenzialmente favorevole alle truppe tedesche, soprattutto per quanto riguarda il morale delle truppe: durante lo scontro, avvenuto nei pressi di Villers-Bretonneux, i Female britannici dovettero ben presto ritirasi, in quanto le loro armi si dimostrarono incapaci di penetrare la corazza dei fortini mobili tedeschi, mentre il Male impiegato dovette colpire per ben tre volte un A7V prima di costringere il suo equipaggio ad abbandonare il mezzo. Durante l'azione altri sette carri leggeri inglesi Whippet presero parte al combattimento, subendo quattro perdite, ma non è chiaro se a causa dei carri tedeschi o della fanteria li schierata. Il Male continuò il suo combattimento, ma finì con l'essere bloccato da un colpo ai cingoli. Dopo tale episodio, le azioni dei A7V non furono particolarmente esaltanti: capitò, infatti, che i carri rimanessero intrappolati in buche o che si ribaltassero nel tentativo di superare un ostacolo, venendo spesso abbandonati e in qualche occasione catturati dagli alleati. Adogni modo la produzione continuò, migliorando sempre di più nella qualità, fino alla fine delle ostilità, arrivando a totalizzare non più di 26 esemplari prima dell'armistizio. Verso la fine della guerra ne era stat, infine, prevista una nuova versione, denominata A7VU, caratterizzata dall'adozione di cingoli avvolgenti sul modello britannico, ma la fine delle operazioni belliche mise fine prematuramente al progetto. Dopo la guerra pare che alcuni A7V finirono alla ricostituita Polonia, che forse li utilizzò fino ai primi anni Venti durante la guerra contro i sovietici e per la difesa di Warsavia, ma ci sono molti dubbi a riguardo.


giovedì 27 maggio 2010

Stridsvagn S-103



Sicuramente uno dei veicoli corazzati più inusuali e caratteristici dell'era postbellica, lo Stridsvagn S-103, conosciuto anche come "carro S o S-tank", era il risultato di una specifica degli anni Cinquanta emessa dal governo svedese per un carro da combattimento leggero. Per quel periodo, infatti, lo stato scandinavo stava portando avanti un intenso programma di ammodernamento delle proprie forze corazzate fondato sull'acquisizione di materiale straniero e sulla progettazione di mezzi locali. Riprendendo di fatto le concezioni degli "Sturmgeschutz", Sven Berge, capo della sezione carri corazzati dell'esercio svedese, propose nel 1956 il progetto di un carro armato privo di torretta e dalle linee sfuggenti ed affusolate. Il progetto suscitò gli interessi degli alti comandi e se ne avviarono gli studi: la sua progettazione, però, risultò lenta e laboriosa, specialmente il sistema di puntamento causava problemi e suscitava perplessità, e soltanto nel 1961 il primo prototipo funzionante fu pronto. La difficoltà maggiore consisteva appunto nel meccanismo per il direzionamento del fuoco: essendo privo di torretta girevole e dovendo svolgere compiti di carro armato e non di semplice semovente, fu praticamente obbligata la scelta di adottare un sistema per il puntamento basato sulla rotazione dell'intero carro su se stesso, mentre per il brandeggio verticale fu studiato un sistema meccanico capace di alzare o abbassare le sospensioni a comando. Date le dimensioni contenute, si rese obbligatorio anche un meccanismo di caricamento automatico, strumento che in quel periodo era ancora in fase di studio e risultava poco affidabile. Altra interessante innovazione introdotta con questo apparecchio fu la scelta dell'unità motrice: inconsueta, come tutto il mezzo, la propulsione era affidata a due motori distinti, un Rolls Royce, con alimentazione mista, veniva utilizzato per la normale marcia, mentre una turbina a gas Boeing veniva impiegata per avere maggiore potenza in combattimento. Nonostante le perplessità, i vantaggi forniti dall'insolita configurazione erano notevoli: il veicolo si presentava dai lineamenti bassi e sfuggenti, risultando così dalla difficile individuazione da parte del nemico, mentre le forme spigolose aumentavano sensibilmente la protezione frontale e si rivelarono particolarmente resistenti. D'altro canto la complessità meccanica e la soluzione tecnica adottata presentavano degli svantaggi non trascurabili: sebbene fosse preciso, il puntamento risultava macchinoso e tendenzialmente più lento dei sistemi convenzionali a torretta, provocando un rateo di fuoco inferiore e più limitato nei movimenti veloci. Sebbene lento, il progetto andò avanti ed alla Bofors venne affidata la produzione in serie, che ebbe inizio nel 1963 e si concluse nel 1971 con circa 300 esemplari realizzati. Da un punto di vista produttivo, dell'S-tank vennero realizzate tre versioni, differenziate per piccole migliorie ed aggiornamenti emersi in sede di progettazione e sviluppo, come l'installazione di una lamina apripista ripiegabile e di un sistema di galleggiamento basato sull'aumento del volume. Operativamente parlando, l'S-103, nonostante gli interessi manifestati da altri paesi, non ricevette commesse dall'estero e rimase in servizio solamente con le forze armate svedesi, che lo hanno gradualmente sostituito con veicoli più moderni. Sebbene non sia più in servizio, l'S-tank continua a far discutere, anche in ottica di un possibile riutilizzo della formula, e gli esperti sono dibattuti riguardo la sua operatività e le sue effettive potenzialità: resta indubbio il fatto che si sia trattato di un carro inusuale, che non ha mai visto un impiego in un teatro bellico e pertanto risulta difficile riuscire a farne delle valutazioni empiriche e concrete.


lunedì 24 maggio 2010

BA-64



La nascita dell'autoblindo BA-64 può essere fatta risalire al 1941, anno in cui venne messo in produzione la GAZ-64, autovettura dalla quale nascerà appunto la BA-64. All'inizio dell'Operazione Barbarossa, l'Armata Rossa disponeva di un ingente quantitativo di autoblindo e veicoli semicingolati, le stime più ottimistiche si aggirano intorno alle 6.000 unità; tuttavia questo impressionante parco macchine era costituito da materiale di produzione prevalentemente straniera e soprattutto di vecchia data: i modelli più recenti erano stati per lo più acquistati dalle giacenze dell'esercito britannico all'inizio della seconda guerra mondiale. Tali mezzi, al momento della verità, si rivelarono del tutto insufficenti e pesante era la carenza di adeguate corazzature, spesso consistenti in semplici lastre metalliche applicate a telai stradali. Data la situazione e a causa delle drammatiche cintingenze militari, la stessa GAZ, partendo dal nuovo veicolo GAZ-64, decise di progettare un nuovo tipo di autoblindo che disponesse di buone caratteristiche complessive e che fosse pesantemente corazzata, in relazione alla categoria ovviamente. I lavori di studio e sviluppo proseguirono celermente, ma fu con la cattura di un veicolo corazzato ruotato tedesco, un Sd.Kfz.221, che i tecnici della GAZ poterono dotarsi di un valido schema progettuale altamente sofisticato ed efficace: fu proprio da questa autoblindo germanica che venne ispirato il disegno per le protezioni del mezzo; una corazzatura molto spigolosa e sfuggente capace di deviare ottimamente proiettili nemici e con un alto coefficente di resistenza agli urti. Fin da un primo impatto visivo, infatti, le somiglianze fra i due modelli sono evidenti. Gli studi furono condotti con il massimo dell'impegno e già nel 1942 i primi tre prototipi erano pronti e superavano egregiamente i collaudi e i test tecnichi, impressionando molto favorevolmente le autorità militari, che ne impostarono subito la produzione su larga scala. Entro la fine del '42 la Ba-64 iniziava ad equipaggiare i primi reparti operativi dell'Armata Rossa e nello stesso anno il veicolo riceveva il proprio battesimo del fuoco, con risultati più che soddisfacenti: particolarmente apprezzata per le sue ottime doti di maneggevolezza, l'autoblindo si guadagnò ben presto il consenso e la stima dei propri equipaggi e venne impiegata intensamente in ogni parte del fronte in compiti di esplorazione e ricognizione. Dato l'evolversi della situazione bellica, ora a favore delle potenze alleate, fu concesso alle forze sovietiche un attimo di sospiro per riprendere consistenza e, soprattutto, per riequipaggiarsi: in quest'ottica venne progettata anche una nuova versione dell'automezzo, la BA-64B. Questo nuovo modello, che poco si differenziava dal precedente, risultò particolarmente riuscito, tanto che rimase in produzione fino al termine delle ostilità e rimarrà in servizio presso l'Unione Sovietica fino agli anni Cinquanta, mentre in altri paesi verrà radiata solamente nel '70. Sulla nuova variante vennero successivamente sviluppati veicoli adattati a varie "specialità": ne venne proposto un mezzo comando, un veicolo per la protezione ferroviaria, con i pneumatici sostituiti da ruote metalliche per rotaie o mediante un sistema di abbinamento pneumatico-ruota, peraltro poco riuscito. Interessante fu la soluzione studiata appositamente per il transito su terreni innevati: per tale tipologia di scenario, le uote vennero tolte ed al loro posto furono installati due sci anteriori e un piccolo sistema di trazione posteriore cingolato (BA-64Z); ma anche tale progetto rimase poi senza seguito. Unico forte limite del veicolo era rappresentato dall'armamento, costituito di fatto da una sola mitragliatrice da 7.62 mm installata in una torretta girevole aperta, anche se furono fatti tentativi, mai standardizzati, di equipaggiare la macchina con armi più pesanti. Alla fine della guerra, la piccola autoblinda sovietica venne presto ritirata dalla prima linea russa e sotto tali insegne rimase attiva fino alla prima metà degli anni Cinquanta, mentre, come accennato in precedenza, altri paesi, che oggi si userebbe definire "del terzo mondo", la sua carriera fu decisamente più duratura.


lunedì 17 maggio 2010

Char de Bataille B1 - B1bis



La storia del Char de Bataille B1 risale ai lontani anni Venti, quando il ministero francese emise una specifica per un nuovo carro armato medio polivalente, capace, cioè, di poter essere impiegato sia in appoggio tattico alla fanteria che nel combattimento diretto con altri carri. Inizialmente le dimensioni richieste dovevano essere relativamente contenute con pesi nell'ordine delle 13 tonnellate, mentre grande importanza fu data alla mobilità: il nuovo mezzo doveva infatti essere capace di fornire buone prestazioni di marcia su ogni tipologia di percorso, specialmente in condizioni di terreno caratterizzato dalla presenza di trincee. Al concorso parteciparono praticamente tutte le industrie francesi del settore, ma alla fine delle valutazioni dei vari progetti la scelta ricardde sul modello presentato dalla Schneider/Renault. La messa a punto di questo mezzo si rivelò estremamente lenta e laboriosa, soprattutto a causa della sua eccessiva complessità meccanica, tanto che le prime consegne ai reparti operativi furono completate solamente nel 1936, ben quattro anni dopo la fimra della prima commessa. Il veicolo, che aveva preso la denominazione di Char B1, era un grosso carro pesantemente corazzato e armato con un cannone da 75 mm in caccia fisso e con due mitragliatrici leggere installate in una piccola torretta mobile situata nella pate anteriore della struttura. Caratteristica del mezzo erano i grossi cingoli avvolgenti, che assicuravano una buona mobilità su terreni impervi, ma che al contempo rappresentavano uno dei suoi punti deboli, data la loro pericolosa esposizione al fuoco nemico. La corazzatura era, per i tempi, particolarmente robusta ed arrivava al massimo dello spessore a 40 mm. Sebbene si trattasse di uno dei carri armati più pesanti e grandi del periodo, lo Char B1 fu vittima della lentezza della sua messa a punto, tanto che al momento dell'entrata in servizio si erano resi disponibili numerosi miglioramenti praticamente in ogni settore. Si decise, pertanto, di aggiornare i successivi modelli ai nuovi stanrdard: il motore da 272 hp venne sostituito con uno analogo, entrambi di costruzione Renault e a 6 cilindri, ma dalla potenza maggiorata, 307 hp; la corazzatura raggiungeva uno spessore massimo di 60 mm e la torretta venne armata con un pezzo da 47mm. Invariato rimaneva il cannone principale da 75 mm situato nella parte frontale del mezzo. Nacque in questo modo nel 1938 il Char B1bis, esteriormente identico al precedente, a parte il nuovo armamento della torretta, ma decisamente superiore in quanto a robustezza e potenza di fuoco. Invariate, però, rimasero le obsolete soluzioni progettuali e strutturali adottate: i cingoli avvolgenti continuarono ad essere pericolosamente esposti, solo durante la guerra si iniziò a proteggerli in qualche maniera; l'armamento principale rimaneva il pezzo fisso frontale a brandeggio estremamente limitato e di scarsa utilità; la mobilità stessa del veicolo veniva penalizzata dal cattivo rapporto tra peso, che era lievitato fino a 31.5 tonnellate, e potenza, rapporto che ne limitava notevolmente l'agilità. Nonostante tali problemi, a cui si aggiungeva l'eccessiva complessità di utilizzo che richiedeva 4 membri di equipaggio altamente addestrati, lo Char B1bis era senza dubbio il migliior carro armato da battaglia in dotazione all'esercito francese: soprattutto lo spessore della corazza lo rendeva immune a gran parte delle armi anticarro tedesche. In totale si stima che al momento dell'invasione della Francia fossero opeartivi circa 400 carri armati, i quali vennero usati in maniera pessima: invece di raggruppare i veicoli in pochi reparti specializzati, i comandi francesi sparpagliarono lungo tutto il confine franco-tedesco i carri a loro disposizione, in previsione di una guerra di trincea e non certo di movimento, creando dappertutto priccole brigate formate su pochi carri e soprattutto senza veicoli di riserva. La carriera operativa dello Char B1bis fu, quindi, piuttosto blanda: utilizzato male in battaglia e dotato di troppi punti deboli, non soltanto i cingoli ma anche la torretta si rivelò estremamente fragile ai colpi avversari, il veicolo non riuscì minimamente ad opporsi ai rivali tedeschi. Alla fine della campagna, numerosi esemplari del veicolo caddero in mano alla Wehrmacht, che, dopo averli trasformati in veicoli lanciafiamme o artiglierie semoventi, li utilizzò prevalentemente per le operazioni di controllo sul suolo francese, oppure come mezzo scuola. Alcuni veicoli privi di torretta vennero ceduti anche all'Italia a fini di addestramento guida di mezzi dalla grandi dimensioni.  


venerdì 30 aprile 2010

IVECO Centauro



Sicuramente uno dei veicoli più riusciti delle forze armate italiane, il Centauro è il risultato di una specifica emessa durante la guerra fredda per un mezzo da combattimento destinato alla difesa del territorio e, cosa più importante, dotato di alta mobilità. Essendo particolarmente pressante la richiesta della mobilità strategica del mezzo, il quale doveva essere capace di muoversi bene su qualsiasi tipologia di terreno ed allo stesso tempo di poter essere schierato velocemente in ogni luogo, i tecnici del consorzio IVECO - OTO Melara proposero come soluzione un autoblindo 8X8 dotata di pesante armamento ed abbondantemente corazzata. Il nuovo veicolo, denominato "Centauro", venne testato e collaudato con esiti positivi: nel 1991, pertanto, la proposta venne accettata e si iniziò la produzione in serie. Ordinato inizialmente in 450 esemplari, il Centauro venne costruito per l'esercito italiano in sole 400 unità, consegnate fino al 2006 in vari lotti e in versioni leggermente differenti fra loro, per via delle ristrettezze economiche in delle finanze statali. Sempre da un punto di vista produttivo, il Centauro è stato acquistato in un'ottantina di esemplari dalla Spagna, mentre nel 2008 il governo dello Oman ha piazzato un ordine di 6 unità, consegnate nel corso del 2009. Nonostante sia nato come mezzo per la difesa nazionale, il Centauro ha finito con l'essere uno dei veicoli militari italiani maggiormente utilizzati in operazioni all'estero: dalla Somalia all'Iraq, infatti, il veicolo è stato schierato in ogni teatro bellico cui ha preso parte l'Italia, dando sempre porva delle sue ottime capacità operative. Recentemente, anche gli U.S.A. si sono interessati al mezzo, prendendo in consegna 16 unità fra il 2000 ed il 2002 per prove valutative e sperimentazioni sulle dottrine di impiego dei corazzati ruotati, anche in vista dell'entrata in servizio presso lo U.S.Army dello Stryker MGS. Attualmente la produzione è chiusa ed il veicolo rimane attivo presso le forze armate italiane in circa 300 unità, oltre che prestare servizio, come accennato in precedenza, in Spagna ed Oman.


domenica 18 aprile 2010

TAM



Il TAM, acronimo di Tanque Argentino Mediano (carro armato medio argentino), nasce dalla richiesta del 1974, da parte del governo argentino, di un carro armato medio in grado di fornire buone prestazioni e, cosa fondamentale, che potesse essere supportato dalle infrastrutture nazionali, spesso obsolete ed incapaci di sorreggere il peso di un MBT vero e proprio. Essendo particolarmente costoso realizzare supportare la lunga e laboriosa fase di studio di un progetto nuovo, il governo del paese sudamericano decise di rivolgersi all'estero per l'acquisto di un programma da costruire successivamente in patria. Per la realizzazione di tale veicolo, venne stipulato un contratto con la tedesca Thyssen Henschel, oggi Rheinmetall Landsysteme, nel quale si richedeva la progettazione, sviluppo e messa a punto di un carro armato da battaglia medio e, parallelamente, di un veicolo da appoggio e trasporto truppe, il VCI (Veiculo Combate Infanteria). La ditta tedesca si impegava, inoltre, a costruire tre esemplari di preserie, i quali sarebbero stati inviati in Argentina per essere riprodotti in serie. Il TAM venne pertanto progettato e sviluppato interamente in Germania, per questo motivo svariate fonti classificano il mezzo come tedesco e non argentino, sulla base del multiuso Marder, dal quale si differenziava per la sistemazione della torretta, leggermente arretrata, e per via di svariati rinforzi strutturali. Per motivi di costo, l'equipaggiamento del TAM è stato in un primo momento penalizzato, specialmente i sistemi di tiro risultarono lacunosi per via dell'uso di strumenti semplici ed economici; nonostante tale deficit il veicolo è comunque l'attuale spina dorsale delle unità corazzate argentine. Sebbene si tratti di un carro armato relativamente leggero ed economico, il TAM permette ottime prestazioni complessive, particolarmente apprezzate sono le sue doti di maneggevolezza su ogni tipo di terreno, che vengono abbinate ad un pesante e potente armamento, nella versione da combattimento è installato un cannone da 105 mm. Ordinato inizialmente in 500 unità, il TAM è stato prodotto in poco più di 300 esemplari, a causa di difficoltà di bilancio si dovette ridurre la commessa, in tre varianti principali, oltre quella standard da combattimento: la VCRT, mezzo di recupero, la VCA 155, artiglieria semovente armata con un cannone italiano "Palmaria" da 155 mm e la citata VCI. E' stata, infine, prodotta anche una versione armata con lanciarazzi multiplo, mentre la Thyssen ha realizzato il modello TH 301, un TAM migliorato negli equipaggiamenti, per il mercato straniero, ma per il momento non ci sono stati acquirenti.