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venerdì 24 dicembre 2010

Tsar Tank



Lo Tsar Tank, noto anche come Lebedenko Tank in onore ad uno dei suoi progettisti, Nikolai Lebedenko, era un gigantesco veicolo non convenzionale studiato in Russia nei primi anni della Grande Guerra. L'idea alla base del progetto era quella di realizzare un mezzo capace di superare agilmente i profondi fossati e le fitte trincee che tanto caratterizzavano i campi di battaglia del periodo e, per tale scopo, si pensò che l'introduzione di una coppia di ruote motrici anteriori dalle grandi dimensioni avrebbe consentito al veicolo di oltrepassare gli ostacoli che man mano si presentavano sul suo cammino. Tali ruote, che nel prototipo raggiunsero lo straordinario diametro di 9 m ciascuna, dovevano essere dotate ognuna di un proprio motore e nel complesso avrebbero trainato un'alta piattaforma di tiro ed un'ulteriore unità mobile posteriore, che doveva nelle intenzioni consentire il movimento direzionale. Partendo da tali ipotesi progettuali, i progettisti russi realizzarono un immenso triciclo con "ruotino" posteriore, il quale aveva a sua volta un diametro di 1.5 m, sul cui telaio venne installata una torretta girevole ed il complesso dell'armamento. Il concetto della macchina nacque ufficialmente nel 1914, quando Lebedenko con l'assistenza di Nikolai Zhukovsky, Boris Stechkin ed Alexander Mikulin, stese i disegni di base del veicolo, realizzando un simulacro in scala in legno e chiamando la macchina Nepotir. Il modellino, dalle simensioni di un gioccattolo e spinto da un motorino di un grammofono, venne pertanto presentato allo Zar Nicola II, il quale rimase altamente impressionato dalle sue capacità motorie e dall'agilità con la quale il piccolo veicolo aveva superato gli ostacoli che erano stati posti a scopi illustrativi lungo il suo percorso. Con i favori e soprattutto con i finanziamenti dello Zar, Lebedenko potè avviare i lavori di costruzione del primo prototipo del carro, che nel frattempo era stato chiamato Tsar Tank. La realizzazione della macchina si rivelò più veloce del previsto, tanto che già nell'estate del 1915 il gigante era già pronto, e proponeva soluzioni particolarmente interessanti: data la mole, infatti, il team di progettisti aveva brillantemente pensato di creare un veicolo dal facile montaggio che avrebbe consentito il trasporto ferroviario dei singoli pezzi, i quali erano stati realizzati da ditte sussidiarie, fino al luogo desiderato e si sarebbe pensato in un secondo momento il loro assemblaggio: in pratica il veicolo doveva arrivare al fronte smontato e sarebbe stato rimesso in piedi direttamente a ridosso delle trincee. I lavori procedettero piuttosto velocemente e nel luglio 1915 le componenti del gigante vennero trasferite in un terreno appositamente scelto a circa 60 km da Mosca ed ivi si procedette alla loro unione. Nonostante il buon esito del trasporto, gravi problemi sorsero una volta ultimata la fase di riassemblaggio: a causa di un'errata progettazione e probabilmente anche per via dell'insufficiente coordinamento dell'attività delle varie imprese interessate, il peso complessivo risultò parecchio superiore rispetto a quanto preventivato e tale imprevisto finì col condizionare le stesse prestazioni e capacità mobili del veicolo, cui era stata ottimisticamente attribuita la capacità di raggiungere i 17 km/h, velocità piuttosto elevata per l'epoca. Nonostante la sgradita sorpresa, comunque, i primi test si rivelarono positivi, in quanto lo Tsar riuscì a superare senza troppe difficoltà tutti gli ostacoli e mise in mostra capacità incoraggianti e promettenti. Il dramma, però, accadde quando durante una manovra il carro finì sopra una superficie molle e fangosa: in tale terreno, infatti, il peso e la sua errata distribuzione, che troppo si concentrava sul posteriore, fecero sprofondare il ruotino di coda, col risultato di paralizzare l'intero veicolo. In aggiunta a tale incidente, ci si rese conto che i due motori adottati, un Maybach da 240 hp per ciascuna ruota motrice, non riuscivano a sprigionare un'adeguata potenza e la macchina, troppo pesante per ipotizzarne un traino forzato, dovette essere temporaneamente abbandonata direttamente sul luogo. Per ovviare alle difficoltà, Lebedenko e gli altri progettisti si misero al lavoro per bilanciare meglio la distribuzione dei pesi e per rimotorizzare il carro con propulsori di maggiore potenza: nonostante gli sforzi, però, l'esercito bloccò autoritativamente ogni sviluppo ed ulteriore studio sulla macchina, giustificando la propria decisione con la convinzione, peraltro parecchio genuina, che le ruote dello Tsar sarebbero state troppo esposte ad un probabile fuoco nemico d'artiglieria, anche se la vera ragione dell'imposizione era l'esorbitante costo della macchina e della sua ipotetica fabbricazione. Il progetto venne pertanto arrestato ed il prototipo fu lasciato dove rimase incagliato nel più totale abbandono fino al 1923, quando finalmente si procedette al suo recupero per la definitiva demolizione.

martedì 2 novembre 2010

Vickers Mk VII Tetrarch




Realizzato nel 1937, il Vickers Mk VII Tetrarch, in principio battezzato Purdah, fu il frutto di una iniziativa privata portata avanti autonomamente dalla casa britannica nel tentativo di realizzare un veicolo leggero costruito su una nuova tipologia di sospensioni, costituite da quattro ruote portanti per fiancata. Inizialmente, comunque, il veicolo non ottenne alcun interesse da parte delle autorità, che si limitarono a guardare i risultati dei primi collaudi, iniziati nel 1938. Durante i test, però, il veicolo presentò delle buone caratteristiche complessive, non particolarmente esaltanti ma lo stesso accettabili e finì con l'attirare qualche attenzione da parte dei militari. Nonostante i tentennamenti per una macchina leggera, con la guerra ormai inevitabilmente alle porte ci si rese conto che l'esercito britannico si trovava in una situazione di grave deficit nel campo dei mezzi corazzati da combattimento: dato che bisognava adoperarsi per dotare le forze armate di nuovi veicoli, le autorità dovettero sorvolare le perplessità e presero contatto con la Vickers per l'avvio della produzione in serie del Mark VII. Ben presto, però, i comandanti inglesi si convinsero definitivamente che l'impiego di carri armati leggeri in combattimento sarebbe stato privo di qualsiasi utilità pratica: entro la fine del 1940, infatti, la volontà di produrre il Tetrarch venne sensibilmente ridimensionata e si decise di impiegare i pochi esemplari costruiti, in totale 177, in azioni di avanscoperta e ricognizione, ruoli per i quali erano peraltro già disponibili altri veicoli. Ritenuto opeartivamente inutile, il Mark VII venne impiegato solo per missioni secondarie in teatri meno impegnativi, come l'invasione britannica del Madagascar del 1942. Svolta nella carriera del veicolo si ebbe con il potenziamento delle unità aviotrasportate: grazie al peso contenuto, il piccolo carro Vickers venne rispolverato dal comando britannico e fu inquadrato nei reparti di assalto e trasporto aereo, grazie anche all'arrivo del nuovo aliante Hamilcar prodotto dalla General Aircraft. Nelle nuove vesti di veicolo aviotrasportato, il Tetrarch venne impiegato in pochi esemplari nelle concitate fasi dello sbarco in Normandia del 1944, per la cui occasione 8 carri vennero utilizzati in un'azione di assalto aereo lungo le rive del fiume Orne. Sebbene l'esiguo numero di veicoli schierati, l'apporto del carro leggero Vickers si rivelò molto utile e valido. Dopo l'episodio, infine, i Tetrarch superstiti vennero impiegati per il complicato attraversamento del Reno. Nonostante i buoni risultati conseguiti sul campo di battaglia, la carriera del Mark VII rimase lo stesso parecchio blanda e limitata: data la disponibilità di altri veicoli leggeri aviotrasportabili, soprattutto statunitensi, la produzione del mezzo Vickers non venne ripristinata ed i pochi veicoli sopravvissuti furono mantenuti in servizio senza uno scopo particolare fino a quando non furono radiati gli Hamilcar, ovvero fino agli anni Cinquanta. La vita dell'Mk VII conobbe, infine, una breve parentesi in Unione Sovietica, dove alcuni carri furono inviati nel contesto di aiuti e forniture militari all'Armata Rossa: sembra che il veicolo abbia favorevolmente impressionato gli ufficiali sovietici, soprattutto per via della sua agilità ed affidabilità, ma a causa del basso numero di mezzi consegnati e problemi con il sistema di raffreddamento i veicoli finirono con l'essere assegnati a compiti di addestramento. Va ricordato, in ultima analisi, come la Vickers studiò nel corso del conflitto una serie di possibili evoluzioni del proprio veicolo, specialmente nell'ottica di una progressiva specializzazione per l'assalto aereo, come il carro leggero Mark VIII Harry Hopkins, di cui si parlerà in apposito post, ed un ipotetico cacciacarri, rimasto però solo allo stadio di progetto.


lunedì 27 settembre 2010

Ansaldo P.40



Durante la seconda guerra mondiale, fra le altre cose di cui mancava l'Italia, particolarmente deficitaria e drammatica era la situazione delle dotazioni militari nel campo dei veicoli e mezzi corazzati. Pur non eccellendo in nessuna categoria di carro armato, sia quella delle macchine considerate leggere sia per quelle medie, era la speciaità dei carri pesanti che mostrava più impietosamente tutta l'obsoloscenza dell'industria nazionale e della capacità progettuale del settore. L'assenza di un carro pesante fu una problematica delle forze armate italiane fin dai tempi della prima guerra mondiale, soprattutto a causa di una chiara e decisa mancanza politica: nonostante il pregevole ed incoraggiante progetto portato avanti dalla Fiat, con il suo Fiat 2000 del 1919, le autorità non intrapresero mai dei progetti seri e soprattutto univoci per dotare il proprio apparato militare di un veicolo rientrante nella classificazione dei "pesanti". Negli anni Venti e Trenta, infatti, l'intera produzione italiana di carri armati si concentrò, senza nemmeno raggiungere risultati particolarmente esaltanti, su mezzi di tonnellaggio medio e leggero, senza mai affrontare con efficacia la realizzazione di carri armati pesanti. Si arrivò pertanto al 1939 senza che le forze armate nazionali disponessero di un adeguato carro armato da combattimento capace di superare le 20 tonnellate, parecchio sotto gli standard che si andavano affermando negli altri paesi europei. Con lo scoppio della guerra, però, il governo si mosse, anche se timidamente, contattando le industrie del paese per la realizzazione di un veicolo dal peso di circa 30 tonnellate. Nonostante l'iniziale iniziativa, ben presto le autorità imposero alle ditte delle pesanti limitazioni di peso, riducendo il numero delle tonnellate massimo da 30 a 24. Gli studi di un fantomatico carro "P", dove la P stava appunto per "Pesante", furono condotti in un primo momento sia dalla Fiat che dall'Ansaldo, ma alla fine fu la sola casa milanese a portare avanti il progetto, sfruttando per l'occasione la collaborazione con la Germania, dove furono mandati a scopi didattici svariati ingengeri con il fine di raccoglie quante più informazioni possibili nella costruzione e progettazione di un carro pesante. In aiuto all'Ansaldo, arrivò il lavoro del Centro Studi Motorizzazione (C.S.M.), il quale autonomamente si mise all'opera per la definizione di un mezzo da 30 tonnellate che si caratterizzava per l'adozione di due torrette, una in caccia e l'altra in ritirata, e che is ispirava al Neubaufahrzeug tedesco. Alla fine il disegno del C.S.M., denominato in questa fase P.75, per via del pezzo montato in torretta, venne affidato all'Ansaldo, la quale sottopose il progetto ad un'attenta revisione sulla scorta delle indicazioni ottenute con il viaggio di istruzione dei propri tecnici in Germania: venne rimosso l'intero armamento in ritirata, mentre leggere modifiche di diesgno furono applicate alla torretta girevole. I lavori proseguirono e nel 1940 fu ultimato un simulacro in legno a grandezza naturale del veicolo: nonostante le esigenze suggerissero di avviare il più velocemente possibile la produzione in serie del veicolo, che era stato rinominato per ordine di Mussolini P.40, in quanto realizzato nel 1940, il programma venne drasticamente ritardato dalle continue ingerenze del governo e dai continui cambiamente dispositivi. Cercando, infatti, di operare una scelta economica, provvenì dall'alto l'ordine di sostituire il cannone da 75 mm con un pezzo più piccolo da 47 mm, dato che di questo armamento si calcolava una maggiore disponibilità di munizioni. Nonostante le imposizioni, l'ebbe vinta l'Ansaldo e nel 1941 il primo prototipo del P.40 veniva ufficialmente presentato, con un cannone da 75 mm in torretta. Il programma venne poi ulteriormente perfezionato nel 1942, quando per concessione tedesca fu possibile esaminare un esemplare delle prime serie costruttive del sovietico T-34: in seguito all'analisi di tale veicolo, gli ingegneri Ansaldo procedettero a riprogettare ampiamente lo scafo del prototipo e la torretta offensiva, mentre altri dettagli più marginali vennero applicati quasi dappertutto, come l'installazione dei parafanghi prima totalmente assenti. Con l'evolversi sfavorevole delle ostilità, le autorità non ci pensarono molto ad approvare il progetto ed ancora prima della sua ufficializzazione furono ordinati all'Ansaldo ben 500 carri armati, con una produzione mensile da aggirarsi attorno ai 50 mezzi realizzati. Il 25 novembre 1942 il P.40 entrava uffiialmente in servizio presso le forze armate, benchè si trattasse ormai di un carro già superato ed inferiore rispetto alla produzione straniera contemporanea, ma si trattava, per stessa ammissione del ministero, di quanto di meglio si potesse ottenere, anche se continue migliorie e suggerimenti verranno successivamente proposti ed in parte concretizzati. A dire la verità, le dichiarazioni espresse nelle circolari avevano ben poco contatto con la realtà: sotto continui bombardamenti ed ostacolata da rallentamenti di ogni genere, la linea di produzione del mezzo procedette a ritmi troppo lenti e soltanto nel 1943 inoltrato si potè seriamente prendere in considerazione l'idea di schierare al fronte il nuovo mezzo, che avrebbe dovuto secondo i piani essere dislocato già in Tunisia, ma che in realtà non varcherà mai i confini nazionali. Le linee di montaggio procedettero così lentamente, soprattutto per la mancanza di materiali, che soltanto nella tarda estate del '43 poterono essere formati i primi due battaglioni, i quali non erano per il momento ancora operativi. Con l'armistizio del settembre 1943, il programma del P.40 fu messo sotto controllo tedesco: nonostante le difficoltà, la produzione del P.40 fu autorizzata e venne confermata parte degli ordinativi siglati in precedenza, per un totale di 150 esemplari. La situazione, però, risultava particolarmente caotica e fra discussioni ed ipotesi, la produzione del mezzo rimase praticamente ferma per qualche tempo: indecisi sull'uso da riservare al carro italiano, ormai considerato di preda bellica, i comandi tedeschi si interrogarono a più riprese sulla possibilità di installare sul veicolo un motore Maybach HL 200, in luogo del Diesel da 330 hp adottato in precenza dai tecnici italiani. Tale dubbio nacque essenzialemnte dal fatto che le consegne delle unità motrici procedevano a ritmi ancora più lenti di quelle dell carro ed almeno 75 unità erano state approntate prive di motore. Alla fine tali ipotesi si conclusero in un nulla di fatto e si procedette ad inquadrare i veicoli prodotti in grado di muoversi, le stime parlano di 40 carri, nei reparti di polizia, mentre i mezzi senza propulsore furono interrati ed utilizzati come fortini lungo le difese della penisola. Nelle ultime battute di guerra, la vita operativa del P.40 fu contraddistinta da veloci ritirate ed abbandoni: svariati esemplari furono portati, pare con equipaggio italiano, in Austria, dove furono abbandonati; altri carri finirono deportati in Germania, dove se ne persero le tracce. Dopo la breve esperienza bellica, dove il mezzo conobbe come visto un limitatissimo impiego bellico, un esemplare di P.40 fu ritrovato in buone condizioni, tanto che venne dislocato a Caserta nel 1950 per compiti scolastici ed addestrativi. Dopo qualche tempo, però, l'apparecchio venne abbandonato alle intemperie, sempre nella città campana, fino ai tardi anni Ottanta, quando, sotto la spinta di personaggi illustri come Nicola Pignato, venne recuperato e riparato. L'opera di restauro venne svolta dalla Fiat, mediante l'impiego di mezzi e personali dell'officina della scuola della casa torinese, e, fra le altre cose, si operò una sostituzione del motore, dato che quello originale pareva irrimediabilmente compromesso, con un IVECO da 190 hp di potenza. Terminata la preziosa opera di recupero, il veicolo venne impiegato ancora per scopi comparatistici, dando tutto sommato delle buone prove di mobilità. Attualmente tale veicolo è conservato in ottimo stato a Lecce. In ultima anlisi, un esemplare di P.40, privo di motore, è conservato oggi a Roma, presso il Museo Storico della Motorizzazione Militare.